Editoriale a cura di Antonio Bellia, Direttore Artistico

Si è chiusa la conferenza di Glasgow. La conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Un evento importante che riunisce i leader di tutti i paesi del mondo per concordare come intensificare l’azione globale al fine di risolvere la crisi climatica.  La conferenza di Glasgow, la Cop 26 (COP significa conferenza delle parti) è la 26ª riunione delle parti della convenzione, ospitata nel 2021 dal Regno Unito in partenariato con l’Italia.

Nel corso della riunione che si svolge una volta l’anno, le parti hanno il compito di analizzare i progressi compiuti in relazione agli impegni assunti nel quadro dell’accordo di Parigi di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2ºC rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC.

La COP 26 è un’opportunità unica per i leader mondiali di agire insieme e rapidamente per intervenire contro i cambiamenti climatici.

Come ormai è riconosciuto dal mondo scientifico, il riscaldamento globale sta provocando cambiamenti crescenti, e in alcuni casi irreversibili, nell’andamento delle precipitazioni, negli oceani e nei venti. Nell’UE e nel mondo, gli eventi meteorologici estremi quali ondate di calore, inondazioni e incendi boschivi si verificano con maggiore frequenza e intensità. In Italia i fenomeni metereologici di grande impatto nell’ultimo anno sono aumentati in modo esponenziale come è visibile agli occhi di tutti.

Cosa si intende per lotta ai cambiamenti climatici?

Quando si parla di lotta al cambiamento climatico ci si riferisce sempre alla riduzione delle emissioni di gas serra. Nel 2019, i leader dell’UE hanno approvato l’obiettivo di raggiungere un’UE climaticamente neutra entro il 2050. Ma cosa significa un’Europa climaticamente neutra?  Significa ridurre il più possibile le emissioni di gas serra, ma significa anche compensare le eventuali emissioni residue. In tal modo è possibile ottenere un bilancio a zero emissioni.

Come è andata la conferenza di Glasgow?

Il 13 novembre con un ritardo di circa 24 ore si chiude la conferenza con un colpo di scena finale: l’accordo c’è ma l’impegno all’uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili, inserito per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite in una bozza iniziale, viene ridimensionato a un rallentamento. Un deciso intervento da parte di Cina ed India nelle stanze delle trattative ha modificato in extremis la proposta di accordo che circolava dalla mattina.

Il documento finale della Cop26, votato nell’assemblea plenaria, sancisce la vittoria delle lobby delle fonti fossili che a Glasgow era la delegazione più numerose, oltre 500 persone.

Cina ed India hanno chiesto e ottenuto di modificare il testo finale dell’accordo: sostituire la progressiva eliminazione (phase-out) del carbone con la sua riduzione (phase-down).  Tale modifica è il segno tangibile del fallimento di questa COP26.

Per la Cina, primo produttore di Co2, «il testo non è per nulla perfetto e l’approccio unico non va bene». L’India è sulla stessa posizione: il paese è estremamente critico sull’uscita dai combustibili fossili, «ogni paese arriverà al suo ritmo ai propri obiettivi di emissioni…… come potete aspettarvi che i paesi in via di sviluppo facciano promesse sui combustibili fossili e sul carbone? Anche noi vogliamo la nostra giusta parte… la causa del riscaldamento climatico sono stili di vita insostenibili, lo spreco dei consumi dei paesi ricchi».

Come scrivono Antonio Piemontese e Luca Zorloni sulla rivista Wired:

“Il finale inatteso è frutto di un asse tra India, Cina e Stati Uniti. Le tre potenze, tre miliardi di persone, mettono all’angolo gli altri 194 convenuti. Gli Stati più piccoli, quelli meno responsabili ma paradossalmente più colpiti dal cambiamento climatico, denunciano di essere stati messi davanti a un aut aut. Tra i banchi della sala della plenaria circola rassegnazione. E stanchezza. Quattordici giorni di negoziazioni interminabili si chiudono così, con un colpo di martello del presidente britannico Alok Sharma, commosso fino alle lacrime”. Ed ancora “È stata una Cop in cui si è parlato molto di denaro. Anche perché chi doveva riceverlo, ossia i Paesi meno sviluppati, è arrivato a Glasgow senza che le economie più ricche avessero raggiunto nel 2020 i 100 miliardi di dollari all’anno a sostegno della transizione energetica promessi nel 2009 a Copenhagen. L’impegno è di aumentare, persino raddoppiare gli stanziamenti in futuro tra il 2025 e il 2030. Intanto, però, il traguardo dei 100 miliardi è posticipato al 2023.

Quali gli scenari positivi usciti dalla cop 26?

Come scrive Giuseppe Onufrio (direttore di Greenpeace Italia) sul Manifesto: “Sopravvive il riferimento allo scenario del contenimento entro il 1,5°C e la conseguente necessità di tagliare del 45 per cento le emissioni di gas serra entro il decennio. Ma gli impegni per realizzare l’obiettivo non ci sono. Si rimanda al 2022 la presentazione dei nuovi obiettivi volontari, in ritardo dunque rispetto alla tabella di marcia fissata a Parigi nel 2015.

Tutto quello che siamo riusciti a ottenere è stato solo grazie ai giovani, ai leader indigeni, agli attivisti e ai Paesi più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche impegno concesso a malincuore. Senza di loro, questi negoziati sarebbero stati un completo fallimento.

In tema di sussidi è stato incluso un riferimento alla “giusta transizione” – altro punto positivo – per rispondere al tema sia della riconversione dei lavoratori del settore fossile che degli aiuti per non far gravare sulle fasce più deboli i costi della transizione.

Sugli impegni finanziari dei Paesi più sviluppati mirati a compensare i danni climatici ai Paesi meno sviluppati, le cifre necessarie sono ancora lontane da quello che servirebbe e anche questo è un aspetto che dovrebbe essere tra le priorità della Conferenza dell’anno prossimo in Egitto.

Di politicamente positivo c’è stata l’inattesa presentazione di un documento congiunto Cina-USA che, pur non contenendo impegni minimamente adeguati alla sfida, si spera possa tradursi in una collaborazione fattiva di cui ci sarebbe bisogno”.

A queste considerazioni di Onufrio aggiungerei l’impegno preso da 100 paesi a mettere fine alla deforestazione per il 2030; di altrettanti a tagliare il metano del 30%; mentre 40 Stati promettono lo stop al carbone (ma non ci sono né Usa né Cina); e c’è l’impegno di un gruppo di Nazioni di non finanziare investimenti nei combustibili fossili all’estero; e infine citerei l’alleanza Boga (Beyond oil and gas) un’alleanza tra un piccolo gruppo di Paesi che si pone l’obiettivo di eliminare i carburanti fossili. Di questa alleanza fa parte anche l’Italia che però ha aderito senza impegni precisi al grado minimo di coinvolgimento, come “amici”. Vedremo come dice sempre Onufrio “se come “amici” di quelli che vogliono eliminare anche petrolio e gas il governo sarà capace di far ripartire le rinnovabili (e non le trivelle), come ha promesso, sbloccando i processi autorizzativi come anche in questi giorni va annunciando. Sarebbe ora”.

In conclusione che dire? La mia impressione è che poco o nulla cambi, e intanto il tempo passa e il surriscaldamento aumenta, le emissioni crescono e i disastri ambientali si moltiplicano.

Sempre più esseri umani e specie animali soffrono e subiscono le conseguenze delle scelte effettuate dal potere politico ed economico del nostro pianeta, centrate solo sull’avidità, la presunzione e l’incapacità di guardare il mondo pensando al benessere delle future generazioni.

Ma rimango fiducioso della capacità delle nuove generazioni di imporre uno sguardo diverso verso il rapporto uomo-ambiente, uno sguardo che sappia comprendere che la crisi climatica è il sintomo di una crisi globale: “crisi di sostenibilità, crisi sociale, crisi di disuguaglianze che risalgono al colonialismo e all’idea che alcune persone valgono di più, e quindi hanno diritto di sfruttare le altre”.

I Ragazzi del Fridays for future sono milioni e stanno facendo una vera rivoluzione. Sono ragazzi comuni, comunicano su Telegram e instagram, diffondendo il loro messaggio a suon di hashtag, e non hanno nel loro movimento la parola gerarchia. La battaglia che portano avanti non è solo per salvaguardare e tutelare l’ambiente per le generazioni che verranno, ma chiedono a gran voce, prima di tutto, un cambiamento culturale e sociale.

E ci riusciranno. Non possono che riuscirci!

 

Photo credit: © Christopher Furlong. Getty Images.

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