“Dobbiamo alzare la voce, non stare in silenzio come se qui non vivessero esseri umani”, sono le parole di Basel Adra nel trailer di No Other Land.
Avvocato, giornalista, regista e attivista palestinese, con i suoi documentari sta combattendo e denunciando l’espulsione da parte di Israele dalla sua comunità di Masafer Yatta, un agglomerato di villaggi palestinesi nel sud della Cisgiordania. Presentato in anteprima mondiale alla Berlinale 74 sezione Panorama No Other Land ha vinto il Documentary Film Award – edizione che ha visto debuttare quattro film italiani: “Another End” di Piero Messina, “Gloria!” di Margherita Vicario, “Il cassetto segreto” di Costanza Quatriglio e il lungometraggio di Carlo Sironi “Quell’estate con Iréne”.
Il film è stato realizzato “atto di resistenza creativa per una maggiore giustizia” da un collettivo palestinese-israeliano, di cui fanno parte oltre ad Adra, il giornalista israeliano, Yuval Abraham, il fotografo palestinese Hamdan Ballal e la DOP israeliana Rachel Szor. Il collettivo che ha scritto, diretto, prodotto e montato il documentario No Other Land è il racconto della demolizione dei villaggi e l’espulsione di chi le abita da parte dei soldati israeliani. E di come Basel Adra e Yuval diano vita a un’alleanza contro la profonda disuguaglianza che caratterizza le loro esistenze: Basel vive sotto l’occupazione militare, mentre Yuval liberamente, senza restrizioni. Il documentario racconta l’occupazione israeliana nella Cisgiordania, e l’impatto sulla loro vita e sulla loro amicizia.
Al momento della premiazione il palco della premiazione del festival di Berlino e quel momento dei registi premiati, è diventato poi il palco dell’agone politico, della semplificazione mediatica. Adra ha espresso la difficoltà di essere sul palco per festeggiare mentre “decine di migliaia di persone del mio popolo vengono massacrate da Israele a Gaza” e ha chiesto di rispettare gli appelli delle Nazioni Unite, interrompendo l’invio di armi a Israele. Abraham ha fatto un appello perché si arrivi a un cessate il fuoco e a una soluzione politica dell’occupazione. Come speso accade, la tematica e la loro causa, nei giorni successivi, è stata offuscata da numerose polemiche e indignazione.
In un festival in cui anche altri artisti si sono espressi sulla guerra in corso a Gaza – dal regista americano Ben Russell che ha accusato Israele di “genocidio” ai lavoratori della Berlinale che avevano chiesto alla direzione del festival una posizione netta, così come la vincitrice dell’Orso d’Oro, Mati Diop, che ha espresso chiaramente la sua posizione “dalla parte della Palestina” e la regista americana Eliza Hittman che ha affermato: “Più le persone cercano di convincersi che c’è una guerra giusta, più commettono un grottesco atto di autoinganno” – i discorsi dei due registi vincitori sono stati accolti duramente dalla stampa e dalle autorità tedesche. Basti pensare alle parole del sindaco di Berlino Kai Wegner, che ha parlato di “relativizzazione inaccettabile” e di come “a Berlino non ci sia posto per l’antisemitismo”. Posizioni che hanno portato la stessa Berlinale a precisare che le dichiarazioni dei registi costituivano “opinioni individuali e indipendenti” che “non rappresentano in alcun modo” quelle della Berlinale. Nell’edizione di quel che è sempre stato un festival politicamente attivo, la direzione è arrivata al punto di dichiarare di “comprendere l’indignazione” suscitata dai commenti “ritenuti troppo di parte” espressi durante la cerimonia di premiazione.
E c’è altro, perché l’eco mediatica ha portato Abraham a subire persino minacce di morte.
Ma il suo, al di là della nebbia mediatica, dell’ottusità politica e della voglia di semplificazioni e distorsioni, del tam tam che ne è derivato – è e resta il discorso più intenso della serata.
“Siamo qui ora di fronte a voi, io e Basel, e abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo considerati uguali. A differenza di Basel io non vivo sotto una legge militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io ho diritto di voto, Basel no. Sono libero di muovermi dove voglio in questa terra, mentre Basel, come milioni di palestinesi, è bloccato nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid, questa ingiustizia deve finire”.